📌 Scarica gli Avvisi Parrocchiali del 15 al 21 marzo.
Domenica – Celebrazioni Eucaristiche in tv
ore 07.00: TV 2000 (canale 28) – Messa celebrata da Papa Francesco
ore 07.30: Tele Padre Pio (canale 145)
ore 08.30: TV 2000 (canale 28)
ore 10.00: Rete 4
ore 10.30: Bergamo TV (canale 17) – Messa celebrata dal Vescovo di Bergamo, Francesco Beschi
ore 11.00: RAI 1
ore 11.00: RAI 3 – Messa celebrata dall’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini
ore 11.30: Tele Padre Pio (canale 145)
ore 18.00: Tele Padre Pio (canale 145)
ore 19.00: TV 2000 (canale 28)
Libretto delle preghiere
La copia cartacea del libretto di preghiera per le famiglie si può ritirare in Chiesa Parrocchiale.
Preghiera dei ragazzi delle elementari
Ascolta il messaggio che le catechiste hanno realizzato per tutti i ragazzi delle elementari. Poi, guarda il video.
Preghiera dei ragazzi delle medie
Guarda il video che le catechiste hanno realizzato per tutti i ragazzi delle medie.
Materiale per adolescenti e giovani
Vista la chiusura dei nostri Oratori e la sospensione di tutte le attività, desideriamo accompagnare giorno per giorno gli adolescenti e i giovani nel cammino di preparazione alla Pasqua. In Quaresima, la Parola di Dio ci raggiunge nella quotidianità nell’incontro con l’altro.
Per questo, saranno caricati sui canali social dell’Oratorio e sul sito delle “card”, una per giorno della settimana, per riflettere e meditare in questo cammino.
Riflessioni per adolescenti e giovani
Non ci è tanto facile riconoscere un dono. Spesso riceviamo il dono, ma non lo comprendiamo, anzi ci può essere una vaga delusione, fastidio o debito.
L’unico modo per riconoscere un dono è la gratitudine: la capacità di stare nel dono!
Al contrario, la lamentela rivela che ci siamo fissati solo su ciò che manca, non va bene o appare sbagliato.
Spunti di riflessione
Come mi comporto quando ricevo un dono? Riesco ad accoglierlo incondizionatamente o continuo a lamentarmi? Sono in grado anche di donare qualcosa di me agli altri o richiedo e basta?
In questa settimana provo a individuare le cose di cui sono più grato nella mia vita.
Via Crucis
Per riflettere
Un’altra domenica lontani dalle chiese
di Pierangelo Sequeri (teologo) pubblicato sul quotidiano Avvenire di domenica 8 marzo 2020
Il teologo sulle Messe “sospese”. “L’epidemia già ci insegna che non possiamo abitare solo il virtuale. E avvertiamo la nostalgia dei luoghi fisici”.
Nel rito romano le letture della seconda domenica di Quaresima sono: Genesi 12,1-4a; Salmo 32 (33); seconda Lettera di Timoteo 1,8b-10; Vangelo di Matteo 17,1-9 (Vangelo della trasfigurazione). Nel rito ambrosiano le letture di questa domenica sono: Esodo 20, 2-24; Salmo 18 (19); Lettera agli Efesini 1, 15-23; Vangelo di Giovanni 4,5-42 (Vangelo della samaritana che per il rito romano è domenica 15 marzo ossia terza domenica di Quaresima).
Chiesa è il nome del corpo, prima che del luogo. In questi anni, riallacciandosi all’originaria ispirazione biblica, i predicatori non hanno perso occasione per ricordarci la Chiesa è fatta di «pietre vive», che siamo noi. La lezione l’abbiamo imparata: non siamo un luogo, siamo un corpo.
Però, adesso che molti di noi devono stare lontani dal luogo fisico della celebrazione, cominciano ad avere una strana sensazione: si sentono un po’ come acciughine spirituali, spellate e sfilettate, senza corpo. Adesso che ci viene a mancare il luogo, ci sentiamo anche senza corpo. E un po’ anche senz’anima.
Una delle nostre ragazze, intervistata a proposto della forzata astinenza dai luoghi imposta dall’emergenza Covid- 19, si è espressa con disarmata franchezza: «Mai avrei immaginato di arrivare a pensare una cosa simile, ma ora la dico: la scuola mi manca». Pensa un po’. Proprio i nostri ragazzi, che ormai davamo per persi nei non-luoghi nel virtuale, sono i primi ad avvertire che la mancanza dei luoghi reali, che orientano eventi relazionali e attivano percorsi mentali, rende insignificanti i corpi e svuota la mente. Il dinamismo dell’interiorità reale ha bisogno di luoghi capaci di renderlo possibile e di arricchirlo. E l’iPhone non lo è affatto. Molti genitori, sull’orlo di una crisi di nervi a causa della mancanza di luoghi alternativi a quelli domestici, sono pronti a confermare.
La fine dell’emergenza ci riaffezionerà al rapporto fra luoghi e corpi in modo nuovo? Lo farà, sperabilmente, anche per le chiese? Da troppo tempo il luogo-chiesa manca di amore, di bellezza, di mistero, di sapienti incanti delle penombre e delle luci, di narrazioni suggestive del genius loci e della lingua materna della fede. Non vedete che in queste chiese non-luoghi anche i corpi – personali ed ecclesiali – ci diventano un po’ smunti e acciughini?
Le Letture evangeliche di questa domenica quaresimale, considerate nella prospettiva di coloro ai quali, provvisoriamente, è imposto il sacrificio della separazione tra corpi credenti e luoghi celebranti, ci vengono incontro. La lettura evangelica della trasfigurazione di Gesù (Mt 17, 1-9), proclamata nel rito romano, è come una folgorazione, a proposito della profondità simbolica del legame fra il corpo nel quale abita la «pienezza del divino» (Col 2, 9) e il luogo di una creazione trasfigurata in cui si compiono tutte le tradizioni della promessa (simboleggiate da Mosé ed Elia). Una nuova casa, la Gerusalemme eterna, un nuovo corpo, quello della creatura risorta. Esperienza forte, che scuote il corpo e la mente di Pietro. E che cosa gli viene in mente: «Farò tre capanne».
Non c’è realtà per un corpo trasfigurato, se non c’è dimora che lo accolga e lo custodisca. Nemmeno corpi risorti avremo, senza luogo adatto. La lettura evangelica dell’incontro con la Samaritana (Gv 4, 1-39), proclamata nel rito ambrosiano, è appoggiata a due luoghi di appoggio per il corpo, a partire dai quali la grazia di Dio ti sconvolge l’anima: il pozzo di Giacobbe e la città di Sicar. Il pozzo che simboleggia l’eredità dei padri è un buon luogo per annunciare ai figli la novità del Vangelo. Gesù, prima di offrire la sua acqua viva, chiede da bere l’acqua che è a disposizione della donna samaritana.
Speciale, perché è quella dei padri, che fa vivere la città: il luogo lo attesta, scritto nelle pietre. L’acqua di Gesù è viva e fa rivivere l’anima di tutta la città («Venite!», dice la donna): com’è vero il corpo che è seduto a quel pozzo e chiede da bere. La disputa sui luoghi giusti dell’adorazione di Dio non deve far perdere di vista l’obiettivo, che è l’adorazione pura di spirito e abbandonata alla sua verità. La trasfigurazione del luogo, tuttavia, operata dal corpo di Gesù, è quella che decide la realtà.
L’anima si trasforma, se c’è un pozzo al quale incontrarsi. Il Vangelo non sa arrivare ai corpi reali, senza luoghi reali. Quando c’è un luogo d’appoggio – il monte, le capanne, la città, il pozzo – il tocco di Dio ci cambia la mente e la pelle. La fisicità del luogo, che si trasfigura insieme col corpo, è indispensabile all’accadere del tocco di Dio che ti segna la vita. Lo so che ti fa impressione, ma questo è il cristianesimo: non un grammo di meno. I non-luoghi di puro transito, i flussi di connessione virtuale, da soli, destabilizzano la mente e producono corpi isterici. (Stava succedendo, infatti, fino al coronavirus: la malattia dell’anima era già molto avanti). Una nuova forma d’amore e di cura per i luoghi adatti alle profondità di cui sono capaci solo i corpi viventi renderanno più facile la guarigione. Ricordiamocelo, non appena potremo riprendere la strada del pozzo.
Una domanda vera e forte
di Marina Corradi pubblicato sul quotidiano Avvenire di domenica 15 marzo 2020
Le chiese vuote di questa amara primavera, gli altari spogli, i tabernacoli serrati inducono un percepibile malessere fra i credenti “forti”, fra quanti aprono la giornata recitando le Lodi, o vanno alle Messe feriali, alle sette del mattino, prima del lavoro. Un popolo di Dio fedele, che vede nell’Eucarestia un indispensabile pane.
C’è gente, e tanta, che nella sospensione delle Messe “con concerto di popolo” si è sentita deprivata di qualcosa di essenziale: quel corpo di Cristo, che la aiuta a portare la fatica quotidiana. Ci sono fedeli che si sono arrabbiati, e solo più tardi hanno capito le ragioni della Chiesa. Alcuni invece insistono con i sacerdoti perché celebrino messe “clandestine”, quasi fossero tornati i tempi della Rivoluzione francese, e forse per questo si sentono più cristiani e più coraggiosi degli altri.
Ma, e se questa Quaresima che quasi ovunque in Italia è cominciata senza il rito delle Ceneri, senza il “Memento quia pulvis es…” – da cui usciamo, in tanti, scrollandoci veloci dai capelli la cenere e i relativi sgradevoli pensieri – fosse una domanda che ci viene posta? I più fedeli di quei credenti in sofferenza sono abituati a seguire i digiuni e gli esercizi e le Via Crucis della Quaresima, percorrendo una strada conosciuta e in fondo cara. E se la vera Quaresima che ci viene chiesta in questo marzo fosse proprio l’abbandono della via consueta, e il lasciarci condurre per sentieri sconosciuti, faticosi, per alcuni drammatici; dentro città irriconoscibili, fra familiari e amici sgomenti? Non sa forse un poco di Quaresima restare in coda per ore davanti a un supermercato, per gente abituata a entrare da padrona in enormi centri commerciali dove la merce sovrabbondante ci viene quasi buttata addosso? Non sono una mai vista Quaresima le nostre strade assurdamente mute, senza un caffè dove si giochi a carte o si beva un bianchino, e i cortili delle scuole desolati e vuoti, all’ora della ricreazione?
Il tempo di meditazione e povertà che prepara alla Pasqua nei giorni di malattia, isolamento e paura del coronavirus sembra materialmente incarnato: oltre le pure buone abitudini, oltre ciò cui siamo abituati. Pare che tutt’altro ci venga chiesto, quest’anno, da un Dio che alcuni dicono di sentire ‘lontano’: e invece forse è estremamente vicino. Senza bisogno di cercarlo in Messe ‘segrete’. La cappa del virus che si allarga non è un segno, un invito forte e brusco a fermarci? A guardare la faccia del vecchio della porta accanto magari per la prima volta, a dargli una mano? Gli infermieri dei reparti di rianimazione ripetono in tv che non potranno scordare gli occhi di malati strappati in un giorno alla loro vita consueta, non potranno scordare la domanda muta di quegli occhi. Non è profonda Quaresima, forse, lasciarsi interrogare da quegli sguardi, e ricordarci del desiderio che abita nel fondo degli uomini? Censurato, immenso desiderio, di cui ci insegnano fin da ragazzi a non parlare (Rilke: «E tutto cospira a tacere di noi, come si tace un’onta, come si tace una speranza indicibile»).
Poche mesi fa i siti web dei quotidiani italiani aprivano il notiziario con Morgan che, a Sanremo, litigava con il collega Bugo. Intanto i social erano un fiume in piena di haters, di ‘odiatori’, quelli che insultano tutti, forti dell’anonimato. L’Italia era nelle condizioni economiche che ben conosciamo, con la consueta disoccupazione giovanile alle stelle, e sulle rive orientali e meridionali del Mediterraneo proseguiva il normale massacro di migranti, mentre sui muri degli ignoti scrivevano ‘sporchi ebrei’ o ‘sporchi negri’. Tuttavia l’Italia sembrava ipnotizzata da quei due, a Sanremo, che litigavano – se poi era vero.
Quanto è lontana da allora l’Italia di oggi, con medici e infermieri stremati in corsia, e vecchi che soffrono (e muoiono) da soli, implorando chi passa loro vicino di mandare un messaggio col cellulare ai figli.
Quanto è lontana l’ansia di chi trema per una persona cara, nel rimpianto magari di non esserle stata, prima, abbastanza vicina. E anche per la stragrande maggioranza di noi, costretta in casa, smarrita, preoccupata per il futuro, non cambia la concezione del tempo, la riflessione sul tempo e il suo senso? Non scoprono forse, tanti adolescenti, che felicità non è scuole chiuse e chattare sul divano, e che manca invece l’amico e perfino il professore: che manca l’altro, in funzione del quale, e non per noi soli, viviamo?
«Ci organizziamo il domani nei nostri pensieri ma poi tutto va in modo diverso, molto diverso», scriveva a 26 anni Etty Hillesum, ebrea olandese dal campo nazista di Westerbork. Anche noi, speriamo meno tragicamente, ci troviamo di fronte agli inimmaginati sentieri di una dolorosa Quaresima. Vorremmo ritrovare quelli, ben noti, di sempre. Eppure, se questo buio marzo fosse un’occasione? Non certo castigo, come gridano alcuni, ma domanda forte. Di verità su ciò che siamo, e di amore fra noi.